L'avanti e indietro a cui è sollecitata la memoria mi ha ricordato quando, parlando con due neo asseminesi, mi resi conto che per due giovani laureati di sinistra, colti e simpatici, prendere casa in zona via Iglesias con attorno le scuole, la farmacia, ecc., non era male, anzi, erano felici e anche i servizi li consideravano all'altezza. Per un lungo momento mi sono sentito un cretino a percepire solo i limiti del luogo in cui vivo.
Weloveassemini.
8 commenti:
Io avrei fatto un'altra analisi.
:-)
Non solo per neo asseminesi. Anche io ho un debole per quell'area. Relativamente ad Assemini, potendo scegliere mi piacerebbe vivere lì.
Io sono nato e cresciuto in quella zona, certo non c'erano dei servizi, ma era pieno di "territoriusi" e di orti nei quali giocare e rubacchiare qualche frutto o ortaggio, ma la considero ancora una giusta miscela tra vecchio e nuovo
WELOVEASSEMINI
l'espansione edilizia asseminese ha in parte attutito la perdita dei posti di lavoro dell'industria. Ma ora il paese,avendo già consumato i 3/4 della sua capacità edilizia si trova in una fase discendente ,come un filone che si stà esaurendo,e comprensibile quindi che chi opera in questo settore cerchi in tutti i modi di rittagliarsi fette di profitto il più apetibili possibile,con il risultato miope di bloccare tutto.
il nuovo p.u.c.aprirebbe nuove prospettive produttive e imprenditoriali,zone artigianali ecc.,solo una classe dirigente impreparata e superficiale non si porrebbe queste riflessioni.
Purtroppo in consiglio sono assediati da cattivi consiglieri molto interessati ci vuole uno sforzo di senso civico,e nel caso far buon viso a cattivo gioco su qualche errore commesso impegnandosi,per la prosperità del paese,ad approvare il p.u.c. immediatamente
tutti bravi a parlare.
caro anonimo facci vedere quanto sei bravo a fare
condivido al 100% quello che ha scritto Marco...correggeri solo il verbo che ha usato in questo passaggio: "solo una classe dirigente impreparata e superficiale non si porrebbe queste riflessioni."..io cambiere il verbo "porrebbe" con "pone"...
Per l'anonimo che ha detto "tutti bravi a parlare", credo che la risposta di Marco dica tutto.
Quando si dice l'eterogenesi dei fini, e cioè come partire da punti di vista opposti per arrivare alla medesima conclusione. Il commento di Marco mette in evidenza un approccio al problema della pianificazione, piuttosto diffuso, di tipo quantitativo. Vede il territorio come supporto neutro alla colonizzazione ineluttabile e scontata dell'edilizia, per qualunque scopo sia stata pensata. Cioè il territorio visto come un bene di consumo (non infinito, peraltro), di cui periodicamente siamo autorizzati al consumo, e la pianificazione è il suo strumento di regolazione: il piano dura 10 anni, prevede il "consumo" di una certa quantità di territorio, e una volta esaurita, sotto con un nuovo piano e nuove quantità. Tutto questo per cicli più o meno regolari, come se nel frattempo avessimo potuto rimpinguare le scorte di territorio. Lascio a chi legge il traguardo di un tal modo di procedere. Un approccio di questo tipo poteva essere accettato quando la pressione umana sull'ambiente era irrilevante, eravamo molti di meno, le tecnologie erano più vicine alla natura e le attività di sostentamento erano involontariamente sostenibili per l'ambiente. Ma oggi non è più così e ne siamo consapevoli, continuare in quella direzione sarebbe criminale. Innanzitutto il territorio non è neutro, ma porta molti valori in se, porta contenuti che debbono essere colti e tenuti in considerazione. Da questo punto di vista abbiamo due strade: sovrastare questi valori, per "correggerli" con le opere umane e "rettificarli" ai nostri bisogni (e qui vorrei ricordare, per esempio le alluvioni di Capoterra, Assemini, Villagrande etc etc) oppure cercare viverci in armonia. Sulla necessità di avere uno strumento che pianifichi le nuove espansioni ho una posizione piuttosto radicale. E' probabile che sia necessario individuarle, ma solo dopo aver verificato alcuni "dettagli": innanzitutto lo stato d'uso del patrimonio esistente, vorrei capire quanti edifici sono disabitati o fatiscenti, credo troveremmo dati interessanti, che da soli ci farebbero riflettere sulla opportunità di consumare nuovo territorio. E poi vorrei che si facesse un serio discorso sulla comunità che abbiamo e quella che vogliamo, come la vogliamo strutturata, basata su quale economia, sul rapporto che vogliamo avere con il nostro ambiente, con l'energia che ci servirà, e quindi sugli strumenti che ci aiuterebbero a tendervi. Magari scopriamo che il nostro futuro è nell'agricoltura, che avrebbe bisogno di buon compost da rifiuti organici, che qualcuno potrebbe produrre dagli stessi rifiuti cittadini, per esempio e chissà cos'altro verrebbe fuori.
Per questo voglio che ci sia un PUC, per sapere se è proprio necessario trovare nuove aree fabbricabili o se magari scopriamo che è sufficiente usare bene quelle che abbiamo, per capire dove vogliamo andare e come lo vogliamo fare. Per me a questo deve servire il PUC, non a dare posti di lavoro effimeri e dal costo ambientale eccessivo, con un bilancio decisamente passivo. Non può servire ad alimentare la rendita fondiaria parassita, che oltretutto atrofizza le capacità imprenditoriali di diversa natura (perchè cercare nuove forme di investimento, c'è il mattone...).
L'utilizzo dell'edilizia come soluzione al problema dell'occupazione è già stata usata da Fanfani e compagnia nel dopoguerra: il prodotto sono le attuali periferie delle grandi città, l'arretratezza tecnologica della nostra industria delle costruzioni, frammentata in una costellazione di microimprese, nelle quali le tutele dei lavoratori sono nulle. Le morti bianche quotidiane in edilizia non sono frutto del caso, ma solo la naturale conseguenza della nostra storia. Credo che oggi dovremmo fare un passo avanti rispetto ad allora.
Tra l'altro in questo periodo si è tornato a parlare con una certa insistenza di politiche della casa, riportando il problema dell'abitare ad una valenza sociale. Se è così,e lo è, mi chiedo perchè non vengano attuate politiche di incentivazione all'uso intensivo del patrimonio esistente. Personalmente io arriverei ad ipotizzare (seppur gradatamente) persino misure piuttosto forti per spingere ad un pieno utilizzo degli edifici, che arrivino ad incidere sul diritto di proprietà, ma mi rendo conto che è una misura un pò forte.
Insomma io spero che Assemini abbia un PUC al più presto perchè spero che si accerti non si debba consumare nuovo territorio, che ci siano misure per il pieno utilizzo del patrimonio edilizio e che gli edili siano occupati soprattutto in ristrutturazioni e recuperi, insomma, quasi il contrario di quanto detto da Marco, ma voglio che ci sia uno strumento.
Appuntino finale per la categoria degli anonimi rivolto ai non anonimi: il fatto stesso che si nascondano dietro l'anonimato esprime l'autoconsapevolezza del valore dei loro gesti, dunque sono coscienti, sanno di comportarsi da vigliacchi. Noi non sappiamo chi sono, ma loro stessi sanno che cosa sono, e questa cosa non li lascia mai, ci pensate che tristezza!
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