Dopo un solo cambio veloce di stazione e quattro fermate dai nomi altisonanti, siamo di nuovo all'aria aperta. Non ricordo il nome ma il luogo si, siamo nella stazione giù dal ponte. Girati due angoli fatte le scalette siamo su Putney Bridge. Se a Londra c'è una brezza a Putney Bridge - tempesta -. Da sempre luogo privilegiato per l'osservazione delle maree, prima o poi andrò a vedere il museo di quanto rende quel gigante scuro. A quell'ora rendeva, ma solo in prestito, un pezzo di sabbia bagnata e fredda che neanche i gabbiani sembravano gradire più di tanto. L'attraversamento del ponte innesca senza indugi la parlata in sardo stretto. Mi fa piacere sentire che dopo tanti anni all'estero il mio amico per imprecare si rifugi ancora negli oscuri arrottamenti guturali che gli avi ci hanno tramandato. Tre o quattro minuti e siamo nella sponda conosciuta. Lo sguardo si gode il paesaggio lungo, cominci da nord dai ponti e finisci nel grembo della balena blu. Un palazzone che al mio primo viaggio era un insignificante agglomerato bianco e squadrato, con la chiara intenzione di difendersi dal fiume. Al secondo era un bel cantiere, al terzo quello che è ora, una balena che prima di un tuffo nel fiume mostra con vanità cento occhi blu. L'imbrunire fa sembrare più piccola la chiesetta accucciata tra il ponte e la balena. Primo incrocio pedonale e primo contatto visivo con l'insidia vera di un turbinio rovesciato di macchine, autobus, moto, bici e corridori a piedi. Guardo a sinistra temendo che inevitabilmente il pericolo arriverà dall'altro lato. Decido di fare come il bretone, valuto la distanza di sicurezza e fino a quando non si mettono d'accordo passo quando mi pare. Max sembra sorpreso della mia salvezza più che dell'atto in se e mi raccomanda una maggiore attenzione ai codici. Giusto penso, ma intanto è meglio provare, caso mai serva dover fermare il mondo con uno sguardo, o un urlo.
Buonanotte
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